1943: Lo sbarco ad Avola

 10 luglio 1943. Lo sbarco ad Avola

 dal libraio editore Francesco Urso


Il 10 luglio 1943, verso le ore tre, i primi soldati anglo-americani sbarcavano in diverse spiagge della Sicilia sud-orientale, dando inizio all’operazione “Husky” che, dopo trentotto giorni, si sarebbe conclusa con l’occupazione dell’isola.

La Sicilia era difesa dalla Sesta Armata italiana e da forti contingenti tedeschi. La Settima Armata statunitense sbarcò tra Licata e Scoglitti e l’Ottava Armata britannica tra Marza (ad ovest di Capo Passero) e Capo Ognina. Lo sbarco fu preceduto, durante la notte tra il 9 e il 10, prima da bombardamenti aereo-navali e dopo da diversi lanci di paracadutisti nella zona americana e di alianti in quella inglese. Avola, che era difesa dal 374° battaglione comandato dal maggiore Fontemaggi, verso le ore ventidue del giorno 9 fu bombardata da avolaaerei inglesi che provocarono quarantanove vittime nei quartieri Stazione e Carrubella.

 I primi nemici che presero terra in territorio avolese, sconvolgendo i piani del Comando alleato, furono dei paracadutisti americani il cui lancio era previsto fra Gela e Comiso. Essi impegnarono il primo combattimento coi nostri soldati in contrada Archi. Verso le due e quarantacinque, sulle spiagge che vanno da Calabernardo a Capo Ognina, presero terra i primi commandos britannici, seguiti, verso le ore quattro, dai fucilieri del 151° battaglione che cominciarono a risalire il viale Lido. Nel frattempo, le nostre batterie costiere erano state neutralizzate dal fuoco delle navi da guerra nemiche che scortavano le navi da trasporto. 


Al termine del viale, nel punto di intersezione tra il corso e la via Nizza (la “porta” di avolaAvola), sorgeva un fortino in cemento armato dal quale il fante Giuseppe Borbone (nato a Raddusa l’8 marzo 1913, medaglia d’argento alla memoria) impegnò a lungo il nemico, contrastandone eroicamente l’avanzata. Rimasto solo, continuò a far fuoco con la sua mitragliatrice, fino a quando non fu ucciso. Un centinaio di metri più avanti, dall’angolo tra il corso e la via Dante, un altro anonimo mitragliere impegnò coraggiosamente il nemico. Superato l’ostacolo, i britannici giunti all’incrocio tra il corso e la via Venezia, annientarono la resistenza di alcuni nostri soldati che avevano aperto il fuoco da un’improvvisata barricata sita nei pressi dell’incrocio tra via Venezia e via Cavour. Verso le sei e trenta gli inglesi arrivarono in piazza Umberto I e cominciarono a concentrarvi (nel quartino della Chiesa Madre) i prigionieri che andavano rastrellando, per poi smistarli verso le loro navi che li avrebbero inviati in lontani campi di concentramento. Molti di questi prigionieri torneranno in patria dopo alcuni anni, altri non torneranno più. E’ giusto sottolineare la generosità di tanti avolesi che salvarono centinaia di nostri soldati, nascondendoli avolain casa e fornendoli di abiti civili. Per contro, altri avolesi si abbandonarono ad atti di spregevole sciacallaggio. Altri sporadici combattimenti si svolsero in vari punti del centro abitato. Verso le 10, i britannici assalirono uno sbarramento stradale sito lungo la statale per Noto, in contrada Santa Venericchia. Il presidio italiano che lo difendeva, durante la notte, aveva respinto l’attacco di alcuni paracadutisti americani, i quali, restando nella zona, forse furono vittime di un episodio di “fuoco amico”, da parte degli inglesi che non sospettavano la loro presenza. In quel combattimento cadde eroicamente il sottotenente Luigino Adorno (Noto, 17 agosto 1917, medaglia d’oro). Verso mezzogiorno Avola era completamente in mano al nemico e gli avolesi, in massa, si allontanavano dal paese e dalla guerra, cercando riparo in campagna e ad Avola vecchia (la grotta di Santa Venera fu abitata per settimane da centinaia di persone, in condizioni che oggi ben difficilmente riusciremmo ad immaginare).
Alcuni aerei tedeschi attaccarono per diversi giorni le navi nemiche che continuavano a sbarcare materiale bellico (i carri armati venivano sbarcati a Mare vecchio, dove il piccolo molo era stato prolungato da un molo artificiale), riuscendo ad affondarne alcune. Il paese subì altri bombardamenti aerei che provocarono altre vittime fra i civili, molti dei quali subirono serie mutilazioni, anche a distanza di anni, a causa delle bombe inesplose e delle munizioni che rimasero disseminate nelle spiagge.
Silvano C. Appolloni Ottobre 2003






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